Legittimità della richiesta UEB di rimuovere parti della descrizione (“claim-like clauses”): il caso T 438/22

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Qualche tempo fa si era commentata la decisione T 56/21 con cui la Commissione d’appello (BoA) dell’Ufficio europeo dei brevetti (UEB), mettendo in dubbio la legittimità della richiesta fatta dall’esaminatore UEB di adattare la descrizione alle rivendicazioni modificate e del conseguente rifiuto della domanda per il solo fatto che il richiedente non vi avesse ottemperato, aveva ritenuto che fosse opportuno riferire la questione alla Commissione allargata (EBoA).

Tuttavia, recentemente, una diversa Commissione d’appello ha adottato sullo stesso punto la decisione T 438/22, di tutt’altro tenore.

Come viene sottolineato in un condivisibile articolo [1], questa decisione potrebbe dare un “assist” all’EBoA per cassare i rinvii attualmente pendenti sul punto, così da confermare lo status quo.

La decisione riguarda l’ennesima richiesta dell’esaminatore europeo che, in ossequio alle (pedanti) Linee guida, chiede di rimuovere alcune frasi della descrizione in quanto formulate in modo da “sembrare” rivendicazioni (‘claim-like clauses’).

Va premesso che frasi del tipo suddetto vengono talvolta introdotte in domande che derivano da domande precedenti ed in cui le rivendicazioni vengono modificate rispetto a quelle originali come, ad esempio, domande divisionali, fasi nazionali di PCT, eccetera. In questi casi, le rivendicazioni originali vengono aggiunte alla descrizione per evitare perdita di materia, cosa che andrebbe a detrimento del richiedente in quanto, da un lato, potrebbe pregiudicare l’interpretazione delle rivendicazioni nelle fasi successive e, dall’altro, potrebbe addirittura portare ad un’invalidazione del brevetto concesso per aggiunta di materia.

La decisione di questa Commissione contiene diverse considerazioni interessanti, se non altro perché evidenziano una crescente difficoltà da parte dell’UEB nel giustificare le suddette richieste di “adattamento” della descrizione, che.sarebbe forse più corretto definire richieste di… “amputazione”.

Innanzitutto, questa Commissione ammette che la Convenzione sul brevetto europeo (CBE) non fornisce una base legale esplicita per tali amputazioni; in particolare, non c’è alcuna base legale che imponga ad un richiedente di rimuovere frasi dalla descrizione per il solo fatto che esse sono formulate in modo simile a rivendicazioni.

Infatti, sostiene la Commissione, le suddette frasi vanno trattate come qualsiasi altra parte della descrizione, essendo irragionevole chiederne la rimozione per il solo fatto che esse “rischiano di venire confuse con le rivendicazioni”. La cosa, piuttosto ovvia per una mente pensante di media capacità (se non altro perché, se tali frasi fossero rivendicazioni, si troverebbero tra le rivendicazioni piuttosto che nella descrizione [2]), potrebbe sfuggire al leggendario “tecnico del ramo”, il cui grado di intelligenza è indefinito, ma soprattutto alla cosiddetta “intelligenza artificiale”, sempre più spesso utilizzata per analizzare i testi ma che di “intelligente” non ha nulla, come dimostrano i sempre più frequenti e clamorosi granchi che essa (o ella?) prende.

Pertanto, emerge come la summenzionata direttiva contenuta nelle Linee guida dell’UEB non abbia alcuna base giuridica; è quindi legittimo porsi l’interrogativo circa l’origine di tale direttiva, che tuttavia la Commissione non chiarisce.

Nonostante tutto questo, la Commissione, in una prodigiosa arrampicata sugli specchi, giustifica la suddetta richiesta di amputazione in base alla Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati che, a suo dire, legittimerebbe un’interpretazione estensiva della CBE, la quale andrebbe letta in base al “contesto” (quale sia questo contesto e quanto esso legittimi l’estensione di questa “estensività”, la Commissione non lo precisa).

Ancor più sorprendente è che, nel tentativo di sostenere tali opinabili argomentazioni, la Commissione arriva addirittura a definire “pio desiderio” (wishful thinking) nientemento che la disposizione dell’art. 84 CBE, il quale prevede che “le rivendicazioni devono definire (‘shall define’) l’oggetto di cui si richiede la tutela” e “devono essere chiare (‘shall be clear’)”.

La conclusione paradossale che sembra emergere dalla decisione della Commissione è che la CBE andrebbe interpretata non in base al testo, ma al con-testo, contrariamente al quadro giuridico europeo, in cui le decisioni sono basate sulla legge (“civil law”), ma anche a quello anglosassone, in cui le decisioni sono basate sulla consuetudine, cioè sulla giurisprudenza (“common law”)..

Infine, un po’ pilatescamente, la Commissione rigetta la richiesta di rimessione alla Commissione allargata (EBoA), che pure il richiedente aveva avanzato, in quanto, a suo dire, tale richiesta sarebbe diretta meramente ad ottenere una modifica delle Linee guida; tuttavia, la Commissione sembra vedere il dito ma non la Luna, giacché è palese come il vero problema riguardi l’interpretazione della CBE e non la modifica delle Linee guida.

La nota (parzialmente) positiva della decisione è che la Commissione, forse per mitigare le evidenti discrasie della sua decisione, concede al richiedente, in alternativa all’amputazione della descrizione, di aggiungere una frase che precisi che le parti incriminate non appartengono all’invenzione: vengono così accontentati sia il tecnico del ramo che l’intelligenza artificiale.

Sarà interessante seguire gli sviluppi del caso, se e quando esso verrà rimesso alla corte di appello allargata.

NOTE

[1] https://ipkitten.blogspot.com/2024/01/deletion-of-claim-like-clauses-board-of.html

[2] Per amore della chiarezza linguistica ricordiamo che l’allocuzione “piuttosto che” non indica un’alternativa (“oppure”), come taluni “letterati” sembrano ritenere, bensì un’esclusione (“e non”.).

Ultimo aggiornamento: 24/01/2024